CETTO C’E’, Senzadubbiamente

Regia:  Giulio Manfredonia.

Cast:  Antonio Albanese, Nicola Rignanese, Caterina Shulha, Gianfelice Imparato, Davide Giordano.

Genere:  Commedia – Italia, 2019.

Durata: 93 Minuti.

Cinema di Piazza Armerina

dal 29 Novembre al 3 Dicembre

1°SPETTACOLO ore 19:00

2°SPETTACOLO ore 21:30

Trama:

Cetto la Qualunque ha lasciato la politica e l’Italia per trasferirsi felicemente in Germania, dove ha avviato una catena di ristoranti e pizzerie e ha trovato una bella moglie tedesca che gli ha dato una figlia. Ma quando la zia che l’ha cresciuto, sorella di sua madre, lo chiama al capezzale Cetto torna in Calabria, precisamente a Marina di Sopra, dove ora è sindaco suo figlio Melo. La zia ha un segreto da rivelargli: Cetto non è, come aveva sempre creduto, figlio di un venditore ambulante di candeggina, ma l’erede naturale del principe Luigi Buffo di Calabria. Dunque decide di trattenersi al Sud e godere dei privilegi del ruolo di sovrano “assolutista”, con il sostegno di un aristocratico gattopardiano. Ma non “tutto tutto” è rose e fiori, e anche il rapporto di Cetto con moglie e figlio verranno messi in gioco.

Antonio Albanese porta per la terza volta sul grande schermo uno dei suoi personaggi più riusciti, e completa la trilogia scritta insieme a Piero Guerrera e diretta da Giulio Manfredonia che vede Cetto la Qualunque protagonista.

Ma ancora una volta la maschera dell’imprenditore ossessionato dal “pilu” si rivela più adatta alla televisione (o meglio, al cabaret televisivo) che al cinema.

L’idea di partenza è molto attuale, ovvero raccontare il bisogno tutto italiano di un uomo forte al comando, in particolare in un’Italia degradata e fragile: il primo contrasto è fra Cetto e Melo, che interpreta il suo ruolo istituzionale come una corsa al bike sharing, le piste ciclabili e i divieti di caccia. “Fra poco metteranno al bando il peperoncino”, sospira Cetto, che procede a dichiarare che “gli italiani si bevono qualsiasi minchiata: e io sono la minchiata giusta al momento giusto”.

Questa sarebbe una premessa comica formidabile nel momento attuale, dotata di quel retrogusto amaro cha fa grande la commedia all’italiana. Ma come spesso accade nel cinema italiano contemporaneo è lo svolgimento a fare acqua, creando una trama assai meno divertente del proprio potenziale.

La tendenza italica a farsi gregge e a trasformarsi da cittadini a sudditi (o da deputati a vassalli) non trova infatti nella costruzione narrativa, nei dialoghi, negli scambi di battute il ritmo, l’energia comica e soprattutto la sostanza morale necessari per sostenere un’ora e mezza di visione, e il risultato è una parabola qualunquista che non morde e nemmeno fugge. Neppure i riferimenti a certi politici che piacciono alla gente perché “semplici, determinati, immorali e volgari” bastano a sollevare Cetto c’è dalla medietà cinematografica.

Solo il talento naturale di Albanese e la sua precisione nella commedia fisica salvano l’episodio (si spera) finale di questa trilogia: la sua gestualità, i modi di dire, l’attenzione a certi dettagli ci ricordano quei suoi sketch perfetti nella loro brevità, come istantanee precisamente a fuoco. Sulla lunghezza filmica invece il suo personaggio perde smalto, slancio ed efficacia.