LA DEA FORTUNA

Regia:  Ferzan Ozpetek

Cast: Stefano Accorsi, Edoardo Leo, Jasmine Trinca, Sara Ciocca, Edoardo Brandi.

Genere:  Commedia – Italia, 2019.

Durata: 118 Minuti.

Cinema di Piazza Armerina

dal 17 al 22 Gennaio

1°SPETTACOLO ore 19:15

2°SPETTACOLO ore 21:30

Trama:

Alessandro e Arturo sono una coppia consolidata, ma il loro rapporto sta mostrando la corda: Alessandro, idraulico dal fascino animalesco che attira uomini, donne e bambini, porta a casa il pane e cede volentieri ai piaceri della carne; Arturo, traduttore passivo aggressivo, non è diventato né uno scrittore famoso né un cattedratico, e patisce l’assenza di un rapporto fisico, e ancor di più di uno scambio verbale, con il suo partner sfuggente. Nella routine cristallizzata dei due irrompono Annamaria, ex compagna di Alessandro, e i suoi due figli nati da padri diversi, e tutti gli equilibri saltano. Annamaria deve fare alcuni esami diagnostici e affida i figli alla coppia di amici, che dovranno fare i conti con una responsabilità genitoriale forse mai nemmeno immaginata, nonché con la capacità dei bambini di metterti di fronte a quello che sei veramente.

Bentornati nel Regno di Oz-petek dove non esistono solo due sessi, dove si mangia e si balla insieme su una terrazza romana (in zona Ostiense), si vive fra sfumature smaltate color lapislazzuli e si mostra il cuore, qualche volta litigando ad alta voce, qualche altra guardandosi intensamente negli occhi.

Il registro è più musicale che cinematografico, a volte da opera, a volte da operetta. E a tratti c’è solo il silenzio di quando si ha veramente paura. Nei suoi momenti migliori il film si libra con l’afflato lirico di un’aria verdiana, come la canzone di Mina e Fossati che fa da libretto; nei passaggi meno ispirati intrattiene come una canzonetta estiva di quelle con i movimenti ripetuti tutti insieme, perché il cinema di Ozpetek è codificato nell’immaginario collettivo e la ripetizione fa parte del suo richiamo.

Il genere è a metà fra la commedia romantica e il melodramma, ma sono molti i momenti horror: dal lungo piano sequenza iniziale che va a stanare due bambini chiusi in un armadio-sarcofago al murale dove sono disegnati teschi e piccoli impiccati; dalla stanze asettica di un ospedale a quella spettrale di un defunto alle strade che, quando perdi di vista un bambino, diventano i corridoi di un labirinto. Eppure questo film che, come consuetudine ozpetekiana, parla anche di malattia e di morte, ha un’energia vitale insopprimibile che tracima nella risata liberatoria, nella commozione struggente, nella dolcezza del riconoscersi parte di un’umanità dolente e spaventata.

La dea fortuna ha un odore, una palette di colori, una consistenza tattile che ci invitano a condividere la tavola (bella la sequenza iniziale che fruga in mezzo al buffet di un matrimonio) e persino il letto dei suoi personaggi confusi e infelici.