L’ESORCISTA DEL PAPA

Regia: Julius Avery

Cast: Russell Crowe, Daniel Zovatto, Alex Essoe, Franco Nero, Peter DeSouza-Feighoney, Laurel Marsden, Cornell John, Ralph Ineson, Paloma Bloyd, Pablo Raybould, Tom Bonington, Victor Solé, Alessandro Gruttadauria, Marc Velasco

Genere: Horror

Durata: 103 minuti

Cinema Garibaldi di Piazza Armerina

Dal 28 Aprile al 2 Maggio

1° SPETTACOLO 19:00

2° SPETTACOLO 21:30

Trama:

È il 1987 e padre Gabriele Amorth (Russell Crowe), Capo Esorcista del Vaticano, viene chiamato a fare il lavoro inscritto nel suo titolo – liberare un ragazzo da una possessione demoniaca. Ma, come nel novantotto percento delle volte, si tratta solo di un caso di problemi psichici: è questo che cerca di spiegare davanti alla Congregazione per la Dottrina della Fede, divisa nelle fazioni del cardinale Sullivan, esponente della nuova generazione ecclesiastica, e il cardinale Lumumba, rappresentante del vecchio ordine. A mediare tra le due posizioni è il Papa (Franco Nero) in persona, che spedisce Amorth in Spagna, dove all’interno dell’abbazia di San Sebastiano, secondo la segnalazione del presbitero padre Esquibel (Daniel Zovatto), è in corso una possessione demoniaca. Ma il luogo nasconde ben altro, un segreto che affonda le proprie radici in un passato sepolto e dimenticato…

Il vero padre Gabriele Amorth è qui ripreso tramite accenni e indizi, anzi i punti di forza del personaggio sono costruiti su riferimenti reali.

Il nome racchiude la cosa – la sua vera forma, il suo vero fine. Ogni cosa. Sia essa oggetto inanimato, elemento della natura o essere vivente. Nella Genesi c’è scritto che il Signore condusse tutti gli animali davanti ad Adamo per fargli dare un nome, e “in qualunque modo l’uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome” – Sant’Agostino si chiede come mai Adamo non avesse dato un appellativo anche ai pesci…

C’è poi Quinto Valerio Sorano, il tribuno della plebe che osò svelare il nome segreto di Roma ai nemici, e per questo fu messo a morte – i generali romani, sotto le mura di una città nemica che assediavano, tenevano il rito dell'”evocatio”, con cui attiravano fuori dal recinto sacro gli dei di quel luogo per indebolirne le difese, ma la formula aveva efficacia solo conoscendo il nome della divinità a cui era consacrata la città.

I nomi delle cose, siano esse oggetti inanimati, elementi della natura o esseri viventi, sono l’ossessione di tutti i protagonisti de L’esorcista del Papa. Perché dare o conoscerne il nome, il reale e segreto epiteto, dà forza e controllo e dominio su tutti gli animali della terra come sulla città di Roma. Si tratta solo e soltanto di questo, e lo sanno bene sia gli uomini che camminano alla luce del sole che i demoni acherontici. Il cardinale Sullivan e tutta la nuova genia di alti prelati vuole dismettere non tanto padre Amorth quanto l’appellativo di cui si fregia, “Capo Esorcista del Vaticano”, perché il fine non è spegnere un uomo quanto la sua idea; del Papa in carica, amico e protettore di Amorth, non sappiamo mai il nome, o meglio, non ne viene mai pronunciato alcuno, perché lui è un custode, un vicario della presenza divina e bisogna proteggerlo in tutti i modi, esoterici o essoterici che siano; Amorth stesso, nei riti e nelle invocazioni del rituale esorcistico, non fa altro che richiamare alla forza delle parole e dei nomi, consigliando padre Esquibel di pregare in latino e non in spagnolo e intimando il demone che ha preso possesso di Henry di rivelare il suo vero nome.

Si muove tra questi riferimenti sapienziali e teologici L’esorcista del Papa, quarta regia dell’australiano Julius Avery su una sceneggiatura vergata a numerose mani da cinque diversi autori, a cui va aggiunto il canone principale offerto da due libri, “Un esorcista racconta” e “Nuovi racconti di un esorcista”, pubblicati ad inizio anni ’90 a firma del vero padre Gabriele Amorth. Modenese, partigiano, avvocato, membro della Società di San Paolo, Amorth è stato dal 1986 fino alla sua morte nel 2016 il Capo Esorcista del Vaticano, pulpito dal quale ha ammonito per decenni sul persistere del demonio nella società contemporanea come anche dell’influsso maligno che possono avere pratiche come lo yoga o il bingewatching dei film di Harry Potter.

Il pachiderma spettacolare messo in piedi da Avery e dai suoi sceneggiatori rispetta ogni ottuso e meccanico passaggio hollywoodiano, dalla levitazione ad effetto al sangue vomitato ad effettaccio, dagli stereotipi etnici e di genere ai jump scares esattamente dove devono stare. Però, e a volte c’è un però, Avery punta al grottesco, carica di gotico ogni inquadratura, erige un palco da Grand Guignol per le evoluzioni gigionesche di Russell Crowe (che oramai si trattiene solo nei film diretti da lui stesso), dimostrando sì di gonfiare per necessità di spettacolo il tutto, ma in un modo obliquo di percepire l’aura angosciante e maniacale degli scritti e delle vicende di padre Amorth – non a caso negli Usa il film ha avuto il Rated-R, cioè il divieto per i minori di diciassette anni se non accompagnati da un adulto.

L’esegesi biblica si spinge fino alla costruzione di un plot mistico-esoterico che ha – sempre nel mezzo di una messa in scena dove Amorth va dall’Italia alla Spagna in sella alla sua vespa griffata Ferrari solo perché lui è di Modena – qualche deriva interessante, soprattutto se viene letta come una sorta di Vatican-washing rispetto al periodo più buio della storia della Chiesa. Non a caso il film vede tra i produttori Loyola Productions, il ramo multimediale hollywoodiano della Compagnia di Gesù, sì proprio quei gesuiti che assieme ai domenicani ingrossavano a fasi alterne i ranghi dell’Inquisizione, che secoli dopo divenne la Congregazione per la Dottrina della Fede che vediamo all’inizio del film…