LACCI

Regia:     Daniele Luchetti

Cast: Alba Rohrwacher, Luigi Lo Cascio, Laura Morante, Silvio Orlando, Giovanna Mezzogiorno

Genere: Drammatico, – Italia, 2020

Durata: 100 Minuti.

Cinema di Piazza Armerina

dal 9 al 14 Ottobre

1° SPETTACOLO ore 19:00

2° SPETTACOLO ore 21:30

TRAMA

In un passato lontano, Aldo ha tradito Vanda e abbandonato i suoi figli a Napoli. A Roma ha ricominciato con Livia, una collega e una ‘voce’ più gentile. In mezzo due figli, Anna e Sandro, che crescono e covano un avvenire di rancori. Vanda tenta il suicidio, Aldo non cede al ricatto ma qualche anno dopo torna a casa e riannoda i lacci sciolti. Aldo e Vanda escono intatti dalla crisi ma è solo apparenza. A guardarli da vicino le crepe e le riparazioni saltano agli occhi. La débâcle è dietro l’angolo, Anna e Sandro pure.

È una storia semplice quella di Aldo e Vanda, coniugi e genitori che crollano dopo troppi anni di vita in comune.

Dentro un grande appartamento, ormai vestigia di un’armonia passata, circolano tra dribblate e confronti, intossicando la vita dei loro figli. Vanda impone regole, Aldo le fugge, insieme producono una situazione caotica, una frattura aperta, un conflitto in cui ciascuno, a suo modo, cerca la via d’uscita.

Lacci copre un periodo di quarant’anni e si inscrive in un contesto di tempi nuovi (gli anni Ottanta) di liberazione dei costumi e di rovesciamento dei valori della famiglia tradizionale. Il titolo, un aneddoto affettivo e concreto del racconto, allude agli indefettibili legami che allacciano i personaggi e li rendono prigionieri. Ai nodi stretti intrecciati dalle abitudini e dagli urti.

L’interesse del dramma familiare di Daniele Luchetti risiede soprattutto nell’originalità e nella gestione della sua struttura narrativa. Struttura polifonica che lascia coesistere fluidamente personaggi e pensieri. Tra fughe, ritorni e collassi, i membri della famiglia protagonista provocano un carnage domestico che affonda le radici nel libro omonimo di Domenico Starnone. Ma è lo sguardo di Daniele Luchetti a mettere in scena l’iperattività dei sentimenti che agitano tutto il tempo la coppia protagonista, a osservarli negli spazi chiusi alla ricerca dell’amore residuale e della collera che l’ha soppiantato.

La tensione è costante e trova la sua detonazione nella coppia Laura Morante – Silvio Orlando, Vanda e Aldo in fondo al matrimonio e agli anni. Entrambi di una precisione estrema nel restituire la forza dell’inerzia e il logorio lento dell’economia sentimentale.

In una scena di rilievo davanti a un ‘caffè amaro’, rendono addirittura palpabile l’ora di saldare il conto. A Luigi Lo Cascio e ad Alba Rohrwacher, che incarna la coppia nella stagione più verde, l’autore affida il tempo della ‘grande (dis)illusione’. Aldo è il padre evanescente di cui teorizzava Lacan, l’uomo incapace di rispondere alle domande dei suoi figli, l’uomo estraneo a se stesso; Vanda è invece la donna pragmatica, ossessionata dall”accumulo’ e dalla casa. Indecisi intorno alla questione (una sola), resistere o perdere, disegnano coreografie e geometrie instabili che imbrigliano i figli di Giovanna Mezzogiorno e Adriano Giannini, vittime di un passato che non passa.

Al diapason con la natura impetuosa della relazione genitoriale, Anna e Sandro sono l’effetto perturbato di una crisi familiare, di cui ciascuno a turno ‘depone’ la sua versione. A un passo dall’epilogo e dal bilancio triste di una vita, Luchetti dona la parola ai ‘bambini’, cacciati da un Eden che non hanno mai potuto e mai potranno reintegrare. È la loro ‘deposizione’ a mettere ordine facendo disordine, a conferire a Lacci il tono melanconico e una vertigine inattesa.

Luchetti si muove discreto tra le rovine di una vita incarnata in tutti gli oggetti rovesciati e sparpagliati a terra da una furia che risparmia soltanto un gatto (Labes), spirito della casa e ‘presagio’ di rovina. Allo spettatore il compito di rimettere insieme i ‘pezzi’, di ridisporli per apprendere lo scacco e il sacrificio vano di una coppia e di una generazione post ’68, mai affrancata dal passato e dai sensi di colpa. Daniele Luchetti ‘regge’ il domicilio coniugale facendo girare la ruota dell’empatia e dell’antipatia e guardandosi bene dal prendere le parti dell’uno o dell’altro dei suoi personaggi. Dietro le porte chiuse, dice il peso dell’infanzia sul nostro destino e dona un calcio salutare all’ideologia del familismo.